Pizzelle? Abruzzo!

Al paesello della mia nonna materna (entroterra della provincia di Pescara) si usa ancora preparare queste pizzelle dolci come quando, da bambina, le gustavo in occasione di qualche festa.

In queste zone il nome di queste cialde è semplicemente “pizzelle” e – ci dice la storia – sono state portare anche altrove in Europa (waffle in Belgio, wafel in Germania, wafflen in Inghilterra, gofre in Spagna, gaufre in Francia, ecc.). La ricetta, passando di mano in mano e di paese in paese, è stata ovviamente adattata e modificata.

Anche in Abruzzo vengono chiamate in molti modi e lascio alla lettura dei tag in fondo alla ricetta parecchi dei nomi che si possono trovare.

Per fare contenta mia madre che vuole riassaggiarle, alle infinite versioni che si trovano in rete, ho preferito la ricetta del posto, semplice, fornita da un’amica (grazie Rita)!

Per prepararle, oltre alle piastre elettriche ad hoc in vendita oggigiorno, esistono ancora i vecchi ferri forgiati, che ho avuto in regalo da mia madre qualche anno fa.Si! Proprio i ferri “antichi”, quelli da utilizzare sul gas o, nella versione col manico più lungo, addirittura nel camino. Foto sopra, il ferro più grande, peso Kg. 1,300, distanza fra i due spigoli opposti 18 cm.; il ferro tondo piccolo, da camino, 900 grammi, 13 cm. di diametro.

Ecco le dosi in grammi che ho estrapolato rispetto a 1 uovo (in neretto i suggerimenti originali).
Naturalmente si potranno moltiplicare le dosi a seconda di quante uova di partenza utilizzeremo (io sono partita da 2 uova):

Per 1 uovo – il mio era grande, da 62 g … ci vogliono …
1 cucchiaio e ½ di zucchero (o zucchero di canna) – ho misurato per 3 volte un cucchiaio grande raso a coltello – 30 g
1 cucchiaio di olio (io extra vergine di oliva di frantoio) – 10 g
1 cucchiaino di succo di limone – 1,5-2,5 g (*)
semi di anice (facoltativi, mi ci piacciono) – macinati per i bambini 1,5 g, oppure 1 cucchiaino di liquore secco di anice per gli adulti – (non sono in foto) – 3 g
un pizzichino di sale – 0,5 g (**)
farina quanta ne prende l’impasto – Mi è sembrato che ci stesse bene tutto il quantitativo che mi ero preparata. L’ho usata debole – 60 g tipo 0 bio più 15 g fecola di patate (o maizena bio) – 75 g (*)

+ olio per pennellare il ferro (e.v.o. o arachide).

(*)  Il succo di limone (qui, circa il 2% rispetto alla farina) è una piccola componente acida, ricorrente in alcuni dolci.
Posso immaginare che anche per questo composto, come per la “scorcia” dei fantastici cannoli siciliani, o per la frolla (vogliono tutti farina debole), valga quanto si dice qui.
Per lo stesso motivo, si vogliono indebolire le farine con almeno il 10% di amido, o più, a seconda della farina utilizzata, per evitare l’aggregazione del glutine, cosa non desiderata in questo tipo di ricette.

(**) il pizzico di sale che mettiamo sempre nei nostri dolci serve per esaltare la dolcezza del prodotto. Leggi qui.

 

Procedimento

Prima considero quante uova voglio impastare (nel mio caso ho impastato due uova, quindi ho raddoppiato tutte le dosi indicate sopra), frullando aggiungo lo zucchero, l’olio, il succo di limone, il liquore o i semi di anice se previsti, il pizzico di sale.

Infine, sempre frullando, aggiungo la farina poco per volta in modo di arrivare ad un composto non troppo lento (come da suggerimento); visto che la cosa è soggettiva, ho pensato che la densità raggiunta andasse bene!

Non avendo avuto altre indicazioni, ho fatto riposare l’impasto per il solo tempo necessario al riscaldamento del mio “ferro”.

Ho messo il ferro sul fornello a gas, a fuoco medio-basso, per 10-15 minuti.
Poco prima di cuocere, ho abbassato il fuoco, ho pennellato con un leggerissimo velo d’olio (con un vecchio pennello di setole naturali) e ho ripetuto di tanto in tanto la leggera pennellatura d’olio (mia madre mi ha suggerito di non limitarmi ad ungere soltanto per la prima pizzella).

Ho quindi versato un cucchiaione di impasto al centro del ferro e ho chiuso, pressando con forza per tutto il tempo di cottura.Il ferro all’inizio era ben caldo, ho dovuto contare soltanto una 30ina di secondi per lato (ma controllare i propri tempi); ricordo che le pizzelle che mangiavo erano appena dorate, non scure come qualcuna delle mie. Dalla seconda cottura (il ferro era meno caldo per la cialda precedente che aveva assorbito il calore) ho contato 45-60 secondi per lato.

Per averle croccanti non devono essere chiare (come piacciono a mia madre), ma ben dorate, senza arrivare a scurire (altrimenti diventano amare e cattive).

Una volta fredde ho tagliato lungo le sezioni e le ho messe ad asciugare su una gratella.
Con circa 360 grammi di impasto (ricordo che ho fatto doppia dose), ho ricavato 19 pizzelle romboidali.
Ricordo a chi ha timore di usare olio e.v.o. nell’impasto, che è più genuino e non si sente assolutamente (sarà per il succo di limone e l’anice aggiunti).
La consistenza delle cialde è come quella che ricordo: si addentano bene e, se sono dorate al punto giusto,  il giorno dopo migliorano e diventano croccanti.

In una scatola di latta sembra che si conservino per una decina di giorni.
D’altronde le spose in passato, le preparavano nei giorni che precedevano il matrimonio.

Sono così semplici e versatili che possono essere mangiate da sole o – come nei miei ricordi di bambina – riempite con fantastici appiccicosissimi composti di marmellate d’uva o di fichi (in questo caso si hanno le “coperchiole” – da “coperchio”- perché una cialda copriva l’altra).

Lascio a voi la ricerca del modo migliore di gustarle.

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