Piccolo atlante dei vini del mondo

per vini d'Italia 2

Nato probabilmente in Armenia, divenuto prospero e celebre in Mesopotamia, arrivato in Europa con la migrazione delle uve, il vino è oggi “cittadino del mondo” come mai nella sua storia. E non solo perché in tutto il mondo si consuma vino di qualità, ma perché in quasi tutto il mondo (laddove il clima lo rende possibile, ma anche in condizioni e località estreme, e impensate
tempo fa) se ne produce.
Capofila quantitativi, e oggi anche qualitativi, restano Francia e Italia. In Europa continua la lunga tradizione di Spagna (anch’essa in fase di forte progresso) e Portogallo, mentre sono in rimonta dopo un lungo interludio Grecia, Ungheria, Romania, e anche alcune aree dell’ex Jugoslavia e della Russia (Ucraina, Moldavia), con un ritorno alle origini che sa di miracolo.
Ma sulla scena enoica mondiale si sono affacciate intanto con prepotenza anche Usa, Argentina, Cile, Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, persino lo stesso Canada e, ultima arrivata, la Cina. Mentre il Nordafrica più “francesizzato” continua a produrre, come da un pezzo ha fatto, ma per ora senza speciali sussulti qualitativi.
Se ogni area tradizionalmente produttrice, e dunque ogni nazione che le contiene, ha le sue uve tipiche (in gergo “autoctone”), due fenomeni stanno segnando la fase più recente della parabola del vino: 1) il dilagare dei cosiddetti vitigni internazionali (ma che sarebbe forse meglio chiamare “ubiqui”), cioè Cabernet Sauvignon e Merlot (e più modestamente Syrah) tra i rossi, e Chardonnay e Sauvignon tra i bianchi; 2) l’affacciarsi di paesi totalmente
nuovi, privi cioè di tradizione vinicola pregressa, che hanno dunque “adottato” come propri anzitutto i vitigni “ubiqui” su citati, e poi una serie di altri, pescati nei paesi tradizionalmente produttori e ritenuti potenzialmente adatti
alla propria realtà territoriale. Così, se l’Italia non ha un unico vitigno bandiera (gli autoctoni italiani sono centinaia,
e al repertorio degli esistenti in vita, cioè vinificati e distribuiti, e non solo elencati dai manuali specialistici,
ogni giorno se aggiungono alcuni, provvidamente recuperati), ma ai
suoi gloriosi Nebbiolo, Sangiovese, Aglianico, e ai riscoperti o rivalutati Barbera, Montepulciano d’Abruzzo, Nero d’Avola, Primitivo, Negroamaro, Verdicchio (tanto per citare solo pochissimi noti) vede affiancarsi e miscelarsi sempre più spesso
i cosiddetti internazionali, la Francia punta sulla classicità
immutabile delle sue grandi aree (rigorosamente riservate da
sempre solo ad alcuni vitigni in esclusiva, senza possibilità di commistioni) e continua a consacrare la Borgogna a Pinot Nero e Chardonnay, il Bordeaux a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, e nella versione bianca a Semillon e Sauvignon, e l’Alsazia soprattutto ai vitigni bianchi
aromatici (Riesling e Gewürztraminer su tutti). Ma prova poi a rilanciare (come è avvenuto nel nostro Sud) le sue zone più “calde” e meno blasonate. Operazione già in buona parte riuscita con l’area del Rodano (Syrah su tutti) e in corso per Linguadoca e Provenza. Non va dimenticato del resto che nella “top ten” dei vitigni più coltivati al mondo, la Grenache (Guarnacha in
Spagna), l’Ugny (Trebbiano in Italia, in mille versioni locali), la Mourvèdre (Monastrell in Spagna) e il Carignan (Carignano nelle aree nostrane in cui si coltiva) precedono o tallonano da presso gli stessi Cabernet e Merlot, e battono di gran lunga lo Chardonnay.
La “crema” dei francesi da export (di nuovo Cabernet, Chardonnay, Merlot, e poi Syrah e Pinot Nero) è il nerbo delle scelte americane. Cui si sono aggiunti a ondata vari vitigni di moda (tra essi Pinot Grigio e Barbera, ma anche Chenin e Sauvignon) e la rivendicazione dello Zinfandel, in realtà copia genetica
e figlio “emigrato” del Primitivo. Oltre a limitati esperimenti con “isole” autoctone come la Concord, originaria dello Stato di New York.
Scelgono più o meno lo stesso mazzo francesizzante Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, aggiungendoci “prove” interessanti con gli aromatici (ma attenzione: la amplissima deregulation lasciata ai vinificatori in quelle nazioni permette pratiche e “profumazioni” esogene da noi per fortuna impossibili).
Variano il menù i “vecchi” paesi riemergenti (l’Ungheria con le sue uve da Tokaj, la Grecia con vecchi vitigni in parte antenati Slovenia con un mazzo di buon assortimento e grande e l’Argentina, che punta molto sul Malbec. In realtà, del mondo a diffusione puntiforme (alcuni straordinari, pensi solo all’Arbois del Jura o alle Corvina, Rondinella, Molinara del nostro Amarone) sono tantissimi.
Alcuni, ancora a rischio di estinzione e di sopraffazione da parte delle new entries. E su tutto il panorama incombe lo spettro degli Ogm. Un colpo alla biodiversità che, a fronte di vantaggi che qui non avrebbero nemmeno discutibile alibi del contributo potenziale alla maggior nutrizione del mondo affamato, ci sembra per ora ricacciare nel suo naturale ambito: i laboratori, senza
invasioni di campo (alla lettera) che potrebbero
rivelarsi esiziali.

Fonte: Ente Mostra Vini-Enoteca Italiana-Siena
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