La Giornata Mondiale  delle emoji

Oggi è la Giornata Mondiale  delle emoji

Era il 1999, quando al signor Shigetaka Kurita, impiegato presso un’azienda di telefonia mobile nipponica,venne commissionata l’impresa di tradurre 176 concetti in simboli grafici. Ispirandosi a manga e pittogrammi, ebbe una fantasticca e fantasiosa idea: fu così che le prime faccine emozionali presero vita.
Il popolo giapponese ha come sua peculiarità quella di essere timido: per un giapponese esprimere un rifiuto è praticamente difficile, se non impossibile.


Per tale motivo, il signor Kurita creò le emoji acronimo derivante da “e” (immagine), “mo” (scrittura) e “ji” (carattere), dei simboli, dei disegnini che aiutassero a superare le barriere di comunicazione. La sua idea era seria e aveva anche un certo senso pratico, quello di esprimersi in maniera immediata.

 

Infatti, il successo è stato assicurato. Oggi, il 92% del popolo digitale parla cliccando faccine dalle diverse espressioni, cuoricini, palloncini, soli e lune. Sorpresa più grande è stata quando, il Museo Moma di New York ha deciso di esporre le prime 176 emoji create dal signor Kurita.

Le emoji sono appese alle pareti del prestigioso Museo nella sua collezione permanente accanto alle opere di Van Gogh e Picasso. Un museo ha il compito di mostrare la storia dell’umanità senza pregiudizio e queste immagini esprimono idee, sentimenti e personalità. Esse raggiungono l’obiettivo che era alla base dell’idea che le ha create: comunicare con i propri simili in modo chiaro ed efficace, come in ogni tipo di arte. E le emoji sono dei segni che fanno intuire il significato di un pensiero, di una emozione, in un istante.

 

 

Gli antenati delle emoji

Chi non ricorda il simbolo  (^_^) e (;_;)?
Esprimevano “sorriso” e “faccina triste”. Si tratta dello stile Kaomoji. Diversissimo da quello occidentale che riproduce un volto stilizzato in maniera orizzontale. Da lì, da quell’embrione, sono nate le emoji che invadono la tastiera dei nostri telefoni, in miniatura, curate nei minimi dettagli.

Ancora prima di Shigetaka e del suo linguaggio da emoji, nel 79, Kevin MacKenzie coniò il simbolo -) proponendo di inserirlo nella mail per indicare l’espressione “tongue in cheek”, ovvero “lingua nella guancia”, a significare un umorismo sottile.

 

E ancora, già nel 1982, un informatico americano si ritrovava sempre discussioni infinite sulle piattaforme di scambio messaggi del BBS (Bulletin Board System), ovvero un sistema in cui una rete di pc si collegava a un cervellone centrale e incrociava dati. Lui si chiamava Scott Fahlman, professore alla Carnegie Mellon’s School e stanco di fraintendimenti, propose di introdurre delle faccine per definire se un tema fosse serio o scherzoso.
Infine, ci fu il francese Nicholas Loufrani, che fece le prime emoticon grafiche e animate per PC e SMS. Suo padre era proprietario del marchio Smiley, la mitica faccina che ride universale, acquisita perché il suo inventore (Harvey Ball) non la registrò mai. Fu così che le faccine di Loufrany vennero rese disponibili online nel 1998 e, dal 2000.

 

Curiosità

Il popolo giapponese per leggere le emozioni, guarda gli occhi, non la bocca. Questo dipende da un condizionamento socio culturale per cui le emozioni devono venire “nascoste” o quantomeno non sbandierate. In Giappone il sorriso sarebbe più legato al nascondere turbamento che al dimostrare felicità o, ancor più interessante, viene usato come strumento di negoziazione nelle trattative!

 

 

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