PENSIERO, MEDITAZIONE E GUARIGIONE

La lotta contro i pensieri che ci auto-boicottano o le paure che riguardano il nostro stato di salute è una vera e propria lotta. Non ci si può presentare inconsapevoli, indifesi o deboli. Occorre luce, forza. Vediamo come svilupparla con l’aiuto della meditazione
La realtà del potere che è nella nostra mente si gioca su una paroletta trita e ritrita: consapevolezza.

Non possiamo liquidare la faccenda invitando a investire sullo sviluppo del proprio stato di coscienza e magari andando a pagare corsi strutturati su tantissimi livelli e spesso basati su un accumulo di informazioni piuttosto che su una qualità reale e un’esperienza diretta di chi guida e facilita.

Il potere di sentirsi sani

Ci si può ammalare per infinite ragioni e spesso questo disequilibrio si attenua da solo. Allo stesso modo, altre volte si può essere perfettamente sani e vivere con angosce illimiitate che attingono a tutta la nostra energia vitale, ci succhiano come vampiri e influenzano tutto, le relazioni che scegliamo di vivere, l’assenza di cura e l’eccessiva possessività con cui le viviamo.

Allora, il punto è che in entrambi i casi, se non vi è consapevolezza, abbiamo grandi possibilità di essere divorati. Questo compromette il modo in cui parliamo, il modo in cui trattiamo il nostro corpo e la fiducia che possiamo riporre nel nostro cuore.

Avvicineremo persone cui permettiamo di fiaccarci o avvicineremo persone con cui giocare a un ruolo di presunta supremazia. In ogni caso, non attueremo una resa. Per attuare la resa si intende comprendere il proprio potere, fin dove ci si estende, in base alla condizione materiale e quella mentale, in base al dato anagrafico e in base al non timore verso l’ignoto.

Molti sono i fattori che contribuiscono al processo di guarigione e la pratica spirituale è uno di questi. Non stiamo parlando di qualcosa di mistico, lontano dalla scienza. Quando l’aspetto psichico si stabilizza, il processo che riconduce all’armonia e quindi alla salute si velocizza.

La guarigione: efficacia terapeutica, efficacia simbolica

La meditazione, ricchezza interiore e pensieri utili

Meditare è stare nel cuore. O meglio, imparare a stare nel cuore, perché prima di arrivarci ci sono incredibili preoccupazioni, indicibili sofferenze, raccapriccianti desideri, irrorazioni inutili di lamentele.

Diffidate delle tecniche in cui venite protoccollati, inseguiti, in cui diventate vittime di un merchandasing. La meditazione nella sua forma pura è una tecnica che in qualche modo non diverge dalla musica: dovete sentire che il maestro è valido e la tecnica vi interessa dal profondo del cuore per essere disposti a mettervi sul solfeggio o sugli esercizi noiosi. Ed è davvero noioso fare i conti con i momenti in cui non si ha affatto voglia di meditare.

Solo con la pratica, di fatto, si sviluppa un certo stato dell’essere. Non che si debba fare alla stessa ora sempre – anche se nei primi anni è davvero utile – ma che si consideri come un dignitoso e assolutamente fruttuoso appuntamento con se stessi, questo sì.

Meditare ci aiuta a vedere bene dove arrechiamo a noi stessi e agi altri danno, sofferenza, dove vediamo con errore e ci allontaniamo dalala ricchezza del nostro essere.

Questo è di fatto guarire, ovvero diventare osservatori di sé, percepire come si gestisce il tempo interiore e di conseguenza quello regolato dall’orologio; significa assolutamente essere in grado di dire di no quando non si sente qualcosa dal profondo e riuscire a fermare relazioni non utili, con persone che non sono felici se brilliamo e finendo per provare invidia anche noi.

L’osservazione di sé ha molto a che fare anche con il controllo dell’immaginazione, far agire il mago che è dentro di sé, ma in molti casi questo può coincidere con il farlo essendo preda di programmazioni grandi ereditate e corroborate, abitudini a screditarsi o screditare e ad alimentare pensieri negativi.

Si inizia a parlare di autocura e di gestione del paziente della propria salute ed è un bene, tanto più se l’attenzione si focalizza su ciò di cui nemmeno siamo consapevoli.

Una guida può esser necessaria, un viaggio da soli può aiutare, una nuova conoscenza può stimolare, ma ricordiamo che molto si gioca nel silenzio e nella capacità di starsene da soli.

Affrontare il dolore con la meditazione

Come la meditazione può aiutare ad alleviare il dolore causato da un malessere fisico
La conoscenza moderna ha ampiamente confermato quello che gli yogi indiani avevano intuito millenni fa: mente e corpo sono strettamente interconnessi e l’uno influenza l’altra in modo profondo.

Esiste infatti una vastissima gamma di patologie vere e proprie causate o aggravate da fattori emotivi e non organici: eruzioni cutanee, gastrite, colite, tensioni muscolari, asma sono solo alcune delle più diffuse.

E’ sorprendente quanto la nostra mente abbia un potere tanto invisibile quanto reale sulla nostra salute fisica in negativo – come evidenziato in apertura -, ma anche in positivo come testimonia il noto effetto placebo.

Non si cada nel grossolano errore di semplificare queste affermazioni e ridurre la questione al “Se penso positivo andrà tutto bene” perché purtroppo la realtà è molto più complicata.

E’ però indubbiamente vero che saper utilizzare la nostra mente può darci un aiuto enorme nella gestione del dolore, un sentimento che, a fasi alterne, è presente nella vita di tutti noi, ma che possiamo imparare ad accettare e gestire.

I benefici e le tecniche della meditazione vipassana

La meditazione: un antidolorifico naturale

“Dolore” è una parola molto complessa che abbraccia un campo emotivo potenzialmente immenso. Esiste il dolore corporeo, quello emotivo, il dolore cronico e il dolore acuto e ognuno dei sei miliardi e più di abitanti della Terra lo vive in modo personalissimo e unico.

Senza avere la pretesa di indagare le tenebre dell’interiorità umana, ci limiteremo a considerare il dolore che può nascere da un banale mal di testa o da malattie più serie, ma comunque riguardante l’ambito prettamente fisico.

Ebbene, confortanti studi scientifici dimostrano che la meditazione può aiutare a mettere nel cassetto analgesici e antidolorifici vari. Citiamo, a titolo di esempio, uno studio pubblicato dal Journal of Neuroscience condotto da Wake Forest Baptist Medical Center di Winston-Salem: gli studiosi sono giunti alla conclusione che la meditazione è in grado di influenzare l’attività delle aree celebrali che controllano lo stimolo doloroso abbassandone l’intensità.

In altre parole, la meditazione ha un effetto analgesico, completamente naturale e senza controindicazioni, sulla percezione del dolore.

Uno dei ricercatori, Fadel Zeidan, spiega: “L’effetto che abbiamo riscontrato è sorprendente: basti pensare che la morfina o altri antidolorifici riducono in media il dolore del 25%”, mentre dallo studio è emerso che la pratica meditativa spegne il dolore del 40% con picchi del 93% su alcuni volontari testati.

La motivazione di tanta efficacia risiede nel fatto che essa agisce sulle varie zone cerebrali che “Costruiscono l’esperienza del dolore a partire dai segnali nervosi provenienti dal corpo”, spiega Robert C. Coghill, il direttore della ricerca.

A livello più generale, esiste una consistente letteratura scientifica che dimostra come la meditazione consenta di ridurre le condizioni psicologiche (quali stress, ansia, rabbia, paura) che, provocando uno squilibrio del Sistema Nervoso Autonomo, causano delle variazioni a livello muscolare, vascolare e cardiovascolare e aumentano il dolore esperito. Riesce dunque a produrre uno stato fisiologico cerebrale in grado di modificare la percezione del dolore e di ridurre lo stress ad esso correlato.

La meditazione è stata applicata nella cura di mal di testa cronici e invalidanti, insonnia, disturbi cardiaci, mal di schiena. Associata a tecniche di visualizzazione e al supporto della medicina convenzionale, ha dato ottimi risultati anche in campo oncologico sia per il contenimento del dolore che per limitare gli effetti collaterali della chemioterapia.

Dolore e gioia: due facce della stessa medaglia

Nessuno, per quanto fortunato, può fuggire dal provare dolore nella propria vita sia esso fisico o emotivo. E’ quel compagno, mai benvenuto, che talvolta viene a farci visita e che è parte dell’esistenza tanto quando la gioia:

“La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera. E lo stesso pozzo dal quale si leva il vostro riso,
è stato sovente colmato dalle vostre lacrime.
E come potrebbe essere altrimenti?
Quanto più dolore incide in profondità nel vostro cuore, tanta più gioia potrete contenere.
La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa che è stata scottata nel forno del vasaio?
E il liuto che calma il vostro spirito non è forse il legno stesso scavato dai coltelli?”.

ELOGIO DEL SENSO DEL DOLORE
Come della morte, del dolore si parla poco. Eppure è parte integrante della vita e strumento importante per conoscere se stessi. Come funziona la soglia del dolore, cosa ci rivela il malessere fisico, come affrontarlo

Sentire troppo, sentire nulla

Partiamo dal caso reale di una bambina di 13 anni, Ashlyn Bloker, che in tutta la sua vita non ha mai provato dolore fisico. Detto così, verrebbe da invidiarla a distanza. Il caso è simile a quello di una stenografa canadese di cui si sparse notizia nei primi anni ’70. La donna era piena di cicatrici, ferite, contusioni. Non solo: fu ricoverata ripetutamente per ustioni (il segnale arrivava solo dal puzzo di bruciato). Allo stesso modo, dovette combattere contro infezioni che di solito vengono arginate col riposo e piccole accortezze, in quanto il dolore ci avverte della necessità di farci curare. Non era dotata di riflessi interni che la mettessero in guardia in caso di imminente pericolo.

Dal punto di vista fisico, i nervi che trasmettono il dolore mandano segnali elettrici al cervello quando entrano in contatto con qualcosa di molto caldo o molto tagliente, causando la risposta del cervello: spostare l’arto, muoversi dalla fonte di calore o dalla lama. I segnali elettrici sono trasmessi attraverso canali di ioni di sodio (atomi di sodio caricati positivamente) le cui “istruzioni” sono contenute appunto nel gene SCN9A. Nel caso della bambina, ci troviamo di fronte a una mutazione che le impedisce di creare quei canali, per cui gli impulsi elettrici che normalmente raggiungono il cervello non si producono mai.

Questi due casi ci insegnano qualcosa di importante, riassumibile in: se non sento dolore, non conosco il mio limite.

Le reazioni sacre del corpo

Ma quali sono i preparativi che il corpo dispone in caso di allarme?

Se si è feriti o colpiti, i campanelli di allarme che si attivano sono multipli e lavorano in sinergia. Il sangue, che in condizioni normali circola nei vasi cutanei e negli organi addominali, viene dirottato attraverso il cervello, i polmoni e i muscoli; il cuore aumenta il suo ritmo, si incrementa la pressione sanguigna. Tutto si predispone per intervenire contro la fonte di dolore. Il fegato secerne nella circolazione sanguigna lo zucchero che tiene accumulato e il sangue porta il nutrimento necessario ai muscoli. Nel caso di ferite, nel sangue avvengono mutamenti chimici in grado di farlo coagulare più in fretta, per evitare emorraggie. Nel caso di dolore che si origina da una fonte interna, la pressione sanguigna può abbassarsi, possono sopravvenire nausea, giramento di testa, vertigini.

Il dolore è di fatto un senso, come la vista, l’olfatto. Le terminazioni nervose sensibili al dolore sono distribuite nella pelle e negli organi e quando sono stimolate si sente dolore. L’intensità del dolore non dipende dalla quantità di tipo di tessuto offeso, ma dal tipo di offesa. In sintesi il dolore è una sorta di tachimetro che misura la velocità con cui sta avvenendo il danneggiamento dei tessuti.

La scala graduata del dolore e la soglia del dolore

La cosiddetta scala graduata del dolore è una tabella in cui sono organizzati i vari tipi di dolori fisici. Si basa sui risultati di prove effettuate con un colorimetro, apparecchio che misura il grado di dolore in “dol”, come unità di misura. A 10 ad esempio corrispondono alcuni dolori del parto, dolori momentanei da improvviso trauma, una sigaretta accesa tenuta contro la pelle, l’espulsione di alcuni calcoli renali. Subito sotto, compreso tra 9 e 7 ci sono alcuni tipi di attacchi cardiaci, alcune ustioni, crampi muscolari fugaci, cefalee da emorragie, infezioni o tumori cerebrali. Il 6 è di fatto la linea che separa questi dolori da altri più comuni come la maggior parte delle emicranie, dolori addominali da freddo durante la digestione, lombaggini e nevralgie, mal di denti, sinusiti, abrasioni cutanee.

I recettori del dolore, le terminazioni nervose, sono distribuite nell’organismo secondo uno schema funzionale. Nelle aree dove una ferita può arrecare danni letali, come all’inguine e al collo, i nervi sensori sono in superficie. Non è lo stesso per le estremità (mani e piedi) che ne accolgono relativamente poche; la materia grigia interna al cervello è protetta dal cranio e manca di nervi che trasmettono il dolore, mentre le arterie che trasportano il sangue al cervello ne sono ricche.

Il dolore di solito viene classificato secondo questa distinzione tripartita:

Dolore puntorio, si avverte subito dopo l’ustione o la lacerazione che avviene su un punto specifico;
Dolore bruciante, più sordo, si estende nel tempo e si diffonde in una zona ampia;
Dolore profondo, nasce dalle terminazioni nervose degli organi interni piuttosto che dalla pelle.

La maestria del dolore

Edward e Ruth Brecher nella pubblicazione “Il perché del dolore fisico”, selezionato dal Reader’s digest del lontano 1972 dal titolo “Le meraviglie del nostro corpo e come mantenerlo sano”, a fine pezzo, parlano del dolore in questi termini:

“E perché i dolori fisici, come ciò che vediamo e udiamo, possono anche fornirci utili avvertimenti, è saggio sopportarli con serenità.”

Trovo che in questa frase si concentri una verità profonda, che illumina anche sul senso della vita. La modalità con cui si tratta il dolore o la malattia oggi è ben lontana da questa intuizione. Il dolore è maestro. Può dirci qualcosa di importante, ma occorre starlo a sentire. A volte lo dice a voce più alta, ovvero l’intensità aumenta, se trascuriamo, rimandiamo, evitiamo.

Non vale solo per le ustioni e le ferite. In alcuni casi il corpo avverte: “Fermati, lo sai che così non chiudi cerchi e non concludi nulla.” Quando ci si ostina a frequentare chi ci porta verso luoghi che conosciamo, luoghi in cui subentra la pigrizia verso noi stessi e viene meno l’utilità dell’amicizia o nel caso di amori che si nutrono di egoismi. Vi sarà capitato di avere la sensazione: “Non andare di nuovo a trovare quella persona”, ma l’abitudine, la voglia di riempire il tempo o simili faccende vi hanno portato a cedere. Per poi sentire uno strano malessere, che non avete immediatamente collegato al non ascolto autoinflitto. Una leggera febbre, una nausea inspiegabile, un mal di testa feroce o un mal di schiena improvviso.

La potenza con cui il corpo sa rivelarci ciò che va bene per noi è un fattore che conta tanto, tantissimo e che possiamo valutare e corroborare in qualsiasi momento.

Fonte: cure-naturali.it

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