La storia della vite e del vino

Quella della vite e del vino è, anzitutto, la storia di una migrazione: dal Caucaso, dall’Asia Minore e dalla Mesopotamia, culle dei vigneti, prevalentemente lungo tre direttrici principali (una più settentrionale, attraverso l’Europa centro-occidentale, una più bassa, pedemontana, pressoché parallela alla linea delle nostre Alpi, e la terza via mare, a zigzag tra le coste e le isole del Mediterraneo). È poi la storia di un’articolazione nella biodiversità (almeno fino agli ultimissimi anni, quando l’incognita degli organismi geneticamente modificati si è pesantemente affacciata anche in questo settore) attraverso lo sviluppo, dalle viti progenitrici, delle tante tipologie oggi a noi note. È, infine, negli ultimi decenni, anche la storia della dialettica tra alta produttività e alta qualità, con l’ago della bilancia spostatosi dalla prima alla seconda man mano che il vino cessava di essere alimento, complemento nutrizionale, per i produttori e le loro famiglie anzitutto, per divenire elemento guida nel recupero del gusto, della cultura e del piacere di vivere legati alla tavola.

I primi esemplari della vite risalgono comunque, probabilmente, a 50 milioni di anni. L’attuale vitis vinifera si può ritrovare intorno al 5000-6000 a.C. A confermare che il viaggio del vino sembra partito dagli altopiani dell’Asia Minore, dalla Mesopotamia e dalla Persia, anche la radice del nome. La parola greca oinos deriva dalla radice indoeuropea voin. Attraverso la Grecia e Roma
il vino si diffonde nel Mediterraneo, vincendo la sfida con altre bevande pure derivate dalla fermentazione degli zuccheri (la birra era la bevanda nazionale degli Egizi fin dal 3000 a.C.). Ma il vino presenta estrema varietà di sapore e profumi, il dono di poter invecchiare ed è trasportabile in luoghi lontani. In
Grecia è una bevanda – tagliata con acqua, miele e spezie – sacra e “maledetta” insieme; e anche a Roma (dove si beve anche il merum, vino puro) il suo culto è duplice: Bacco e Libero, la vera eredità di Dioniso.
Tra il IV ed il II secolo a.C. il vino greco di Lesbo, Chio, Thasos e Coos è un prodotto costoso e ricercato in tutto il Mediterraneo, che si diffonderà con successo anche nella Penisola Italica (subito detta Enotria) dando origine al Falerno, il Marsico, il Cecubo, il Mamertino di Sicilia, il Rethico veneto ed vino d’Alba, e poi nelle province della Gallia dove importante per la crescita vinicola sarà la progressiva sostituzione delle anfore di terracotta con botti di legno, più facili da trasportare e, come si capirà poi, contenitore adattissimo al contenuto.
Con il crollo dell’Impero Romano, l’Inghilterra abbandona la coltura della vite, sfavorita dal clima, e “scopre” l’import dalla Francia. Ma i rapporti politici sono instabili.
Ed ecco la ricerca di nuovi sbocchi: il Portogallo (Porto) dove trova radicamento l’aggiunta di alcool al vino per renderlo più dolce, stabile e trasportabile; l’operazione si ripete a Jerez, patria dello Sherry, e in Sicilia con il Marsala.
È però la Francia a dominare la viticoltura medioevale, anche per le innovazioni tecniche: le bottiglie in vetro soffiato, i tappi, i sistemi di coltivazione intensivi. Nel 1668 una storia che sa di leggenda attribuisce al monaco cantiniere di Hautvillers, Dom Pérignon, l’invenzione del vino spumante che diverrà Champagne (solo nella regione omonima) e la creazione di bottiglie più pesanti in grado di resistere alla pressione dell’anidride carbonica legata ad una fermentazione per le differenze di temperatura stagionali locali. In realtà, già i Romani conoscevano i vini rifermentati. E in certi casi li apprezzavano.
In Italia, invece, con la perdita della leadership sociale e politica, anche la viticoltura decade: nel Medioevo sono rare le notizie sui vini. Ma la Repubblica di Venezia, viceversa, per secoli spadroneggia nel Mediterraneo monopolizzando il commercio dei vini dolci dal Sud al Nord dell’Europa. Nell’era moderna poi, pesano sul percorso del vino alcune catastrofi “ambientali”: come la gelata del 1709, che indebolì pesantemente la viticoltura del vecchio continente.
Ma c’è chi non si arrende. E nel 1716 Cosimo III detta il primo disciplinare di produzione nel Granducato di Toscana per la delimitazione del Chianti. Un altro colpo alla viticoltura europea, arriva però tra fine ‘800 e inizio ‘900: l’invasione della fillossera, piccolo insetto che attacca la radice: la soluzione fu l’impianto della vite europea sul piede di quella selvatica americana, immune dal parassita (pratica tutt’oggi pressoché obbligatoria). È comunque ancora la Francia per buona parte del ‘900 a dominare la scena. Ce ora, però, si allarga a gran parte del mondo “temperato”. Con l’Italia in prima fila, tesa a riconquistare la sua palma di “Terra del Vino” e a parare la concorrenza sempre più decisa e affollata, sul grande mercato internazionale,che arriva dal Nuovo e Nuovissimo Mondo(Nord e Sud America, Australia, Nuova Zelanda) oltreché dal Sudafrica…..
…(continua)

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