11 settembre 2001, l’attacco alle Torri Gemelle

#Accaddeoggi 11 Settembre 2001

L’11 settembre del 2001  è stato un giorno buio, pieno di terrore e morte.
Ha scosso profondamente gli animi umani segnando l’inizio di un profondo cambiamento degli equilibri economici globali.
Niente sarà più lo stesso.

Per non dimenticare

Quella che state per leggere è la testimonianza di Maria Teresa Cometto giornalista del Corriere della Sera del 12 settembre 2001

 

“Un boato, decine di persone cadevano nel vuoto

 

È quando la torre è crollata che tutti insieme, come impazziti, abbiamo cominciato a correre verso nord. Io ho preso mia figlia Francesca per mano, l’ho stretta forte come non avevo mai fatto. Correre, scappare via per non essere travolti dai detriti: solo quello contava. Ma mentre scappavamo lontano dalla sua scuola — che è solo a 500 metri dalle Torri gemelle — insieme a quella marea di gente senza controllo continuavo a pensare che doveva esserci un errore, che quello che stavamo vivendo non poteva essere vero. In neanche mezz’ora, dalle 10.05 alle 10.28, sono crollate tutte e due le Torri, simbolo del centro finanziario di New York e sede di lavoro per 40 mila persone. Altri 345 mila vengono quaggiù tutte le mattine e si aggiungono alle decine di migliaia di newyorkesi che, come noi, hanno scelto di abitare in questa zona, fra il fiume Hudson (a ovest) e l’East River. La prima Torre, quella più a sud, l’ho vista incendiarsi mentre stavo ancora nel cortile di casa, il Gateway Plaza, a due passi. Ero scesa per strada poco dopo le 9 perché avevo sentito un botto assordante. Stavo leggendo il giornale nel mio appartamento, che è anche il mio ufficio. Sono corsa giù, dal quindicesimo piano, insieme a mio marito Glauco Maggi, giornalista della Stampa. E la scena che ci si è parata davanti ci ha tolto il respiro: c’era un buco in ciascuna delle due Torri.

 

Quella a Nord aveva la cima in fiamme e quella a Sud — dove c’è l’osservatorio, meta dei turisti e dei miei familiari quando passano per un saluto — sprigionava fumo nero.
Ma era solo l’inizio. Lo spettacolo atroce, spaventoso al di là di ogni immaginazione, è iniziato alle 9.11, quando ho visto la prima persona buttarsi giù dai piani più alti della torre Nord, seguita da altre decine di poveri corpi, che precipitavano insieme ai detriti. Lungo la passeggiata di Battery Park —fino a ieri uno dei punti più belli per godersi la vista delle torri gemelle — la gente era pietrificata. Immobile. Qualcuno diceva di avere colleghi e parenti che lavoravano là, dove c’è pure il quartier generale down town della banca d’affari Morgan Stanley.
Quando si è alzata l’enorme nuvola di polvere scura per il crollo della torre, la paura di essere colpiti dai detriti, di essere soffocati dalla polvere, di finire intrappolati ci ha come risvegliati ed è allora che abbiamo cominciato a correre. Tutti, verso nord, lungo la West End, la superstrada che costeggia l’Hudson, seguendo le indicazioni della polizia e dei vigili del fuoco che a centinaia presidiavano le strade e ci gridavano di muoverci.
Broker con le giacchette colorate della Borsa delle merci che si affaccia sul fiume, lavoratori del World Financial Centre, turisti — e poi i bambini della scuola PS89, che frequenta mia figlia — chi stava nell’area più a sud di Manhattan: tutti siamo stati evacuati. Il polverone si allargava sotto la torre rimasta in piedi e cominciavamo a sentirlo seccarci la gola e bruciarci gli occhi. Io, Francesca e mio marito stavamo correndo verso la casa di un’amica al Village — fuori dalla zona pericolosa e ora chiusa, che va da Canal Street in giù —, quando abbiamo visto crollare anche la seconda torre. In quel preciso momento il fiume di gente in fuga si è fermato, in un silenzio agghiacciante, tutti gli occhi puntati a Sud, dove una volta le torri erano un punto di riferimento sicuro, mentre ora c’era solo un vuoto pieno di fumo e di polvere.
Eppure, in questo inferno, nessuno si è lasciato andare all’isteria: era come se non ne avessimo neppure la forza. Ho visto molti piangere. Ma ho visto anche genitori — alla scuola di mia figlia — offrirsi volontari per aiutare a evacuare l’edificio; e persone fermarsi per strada ad aiutare i vecchi o gli zoppicanti ad allontanarsi più velocemente. Nessuno a spintonarsi o a tagliar la strada. Davanti alle cabine di telefoni pubblici che funzionano, lunghe file di persone che aspettano il loro turno, perché i cellulari non prendevano più (l’antenna-ripetitore è saltata in aria con le torri).
La mia amica Sarah — che ora mi ospita nella sua casetta (solo tre piani!) in Saint Lukes Place — mi dice: «I newyorkers non 18 si scompongono mai, nemmeno per le rivolte di strada». Ma è scioccata, lo siamo tutti. Mi raccomanda di non usare l’acqua, perché tutta l’acqua disponibile è indirizzata verso Sud, al servizio dei vigili del fuoco. Passeremo qui la notte, perché casa nostra è oltre la linea di sicurezza. Questa sera, avevamo programmato di assistere ad uno spettacolo di danza della compagnia Parson: una delle dozzine di performance della serie «Evening stars», allestita proprio nella piazza fra le due torri. Uno scenario incantevole, ora cancellato dal panorama di New York, insieme a un numero di vittime che ancora non conosciamo.
«È peggio di Pearl Harbor. E come stare in guerra », commenta Sarah. Lei ha una cantina- bunker, utile se l’attacco a New York andrà avanti. Cerca di rassicurarci. Ci stringiamo e speriamo che questo brutto film possa presto finire”.

 

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