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CucinArch. 2 Capitolo I

Nel nostro post di presentazione (2archincucina) vi abbiamo detto che non vogliamo che questo sia il solito blog di ricette ma vogliamo invece, attraverso di esso, “esprimere le nostre sensazioni, le nostre idee e i nostri ricordi ora con uno spazio architettonico e urbano o un oggetto di design ora con un piatto buono e bello”
Da qui il desiderio di raccontarvi la cucina non solo come “arte e tecnica gastronomica” ma anche intesa come “ambiente dove si prepara il cibo”. Così, in questa sezione del blog, abbandoneremo il grembiule e vestiremo i panni a noi più congeniali di architetti, che tenteranno di stuzzicare il vostro appetito di conoscenza su uno degli ambienti più importanti delle nostre case: la cucina.

 
<< … Al più elementare livello individuale ciascuna persona esige un posto per dormire, mezzi con cui soddisfare le necessità fondamentali dell’igiene personale, disponibilità di acqua, possibilità di procurarsi cibo, di attrezzature per preparare il cibo da mangiare. Ma le persone per lo più vivono come parte di una famiglia e in condizioni ambientali un po’ meno spartane cui diamo il nome di «casa». La vita della famiglia esige spazi per la riproduzione e l’educazione della prole. 
La preparazione e la consumazione del cibo in seno alla famiglia diventano processi più elaborati, una fonte di piacere e nello stesso tempo sostentamento del corpo, nonché un momento per un’interazione sociale a più livelli. 
La casa è destinata ad essere un luogo sicuro, tranquillo, familiare, pieno delle cose della nostra vita, a volte chiuso ed intimo, a volte aperto e disponibile, secondo le scelte di chi ci vive.

Nel costruire, la misura di tutte le cose sono gli essere umani. 
Le dimensioni e i movimenti del corpo umano sono, infatti, i fattori determinanti per la dimensione dell’alloggio.
Vi facciamo un esempio per farvi capire come siamo noi stessi, con il nostro corpo e con i nostri movimenti, a plasmare gli ambienti e a definire le caratteristiche degli oggetti e dei complementi dell’arredo. 
A livello primario un uomo seduto in una soffice poltrona stabilisce certe dimensioni importanti. L’interno di una poltrona deve essere abbastanza grande in tutte le dimensioni per accogliere comodamente il suo corpo in una qualsiasi di un certo numero di posizioni a sedere normali: con i piedi sul pavimento, le gambe accavallate, le gambe ripiegate sotto il corpo, seduta diritta, seduta incuneata diagonalmente in un angolo della poltrona, e persino seduta con una gamba penzoloni su uno dei braccioli. Da queste dimensioni, più lo spessore della struttura richiesta per sostenere il suo corpo e lo spessore dell’imbottitura necessaria per distribuire confortevolmente il suo peso attraverso la carne, derivano le dimensioni esterne della poltrona. Intorno alla poltrona, entro il raggio della portata, senza difficoltà, delle braccia della donna, ci sono altre suppellettili: una lampada abbastanza alta da proiettare la luce dal di sopra della sua spalla e sul libro. Un portariviste abbastanza grande da contenere comune materiale da leggere, che a sua volta è di una grandezza che s’adatta comodamente alla sua mano e alla sua vista. Di lato un tavolino spostabile di un’altezza che ponga una tazza di tè alla portata della sua mano senza difficoltà.
L’uomo si alza e cammina verso il tavolo da pranzo. Quando si muove il suo corpo incede in un volume di spazio che deve essere mantenuto sgombro da ostacoli. Dev’esserci per lui spazio per muoversi sin dietro la sedia, spazio per tirar fuori la sedia, e spazio tra la sua e la sedia successiva. La sedia deve reggerlo comodamente ad una altezza che gli consenta convenientemente di mangiare ed il tavolo deve presentare stoviglie e cibo ad un’altezza conveniente per le sue mani e la bocca. Piatti e coppe sono di dimensioni che rispondano alle quantità dei vari cibi che si ritiene il suo stomaco debba reggere. Le dimensioni degli utensili sono fissate in modo che possa trovar posto un certo numero dato di persone insieme con le loro stoviglie, gomiti e ginocchia. Sono fissate anche in modo che vi sia una distanza comodo fra due persone che siedano di fronte all’altra. Anche quando le persone siedono o stanno in piedi senza che un tavolo le separi, esse rispettano delle distanze che consentono un contatto visivo ed acustico sufficientemente ravvicinato senza che vengano invasi i personali territori spaziali. Una tavola da pranzo o una stanza per soggiorno possono esser troppo piccole per esser comode, se costringono la gente ad una vicinanza intollerabile. Possono anche esser troppo grandi si da rendere difficile il comunicare.

Le stanze acquisiscono le loro dimensioni sulla base di considerazioni di questo genere: le dimensioni e forme dei corpi umani, le dimensioni e forme dei mobili necessari, le dimensioni e forme dei volumi che i corpi occupano nel muoversi e le distanze desiderate tra le persone. Persino il televisore va posto ad una determinata distanza da chi guarda i programmi.

In una cucina, in un bagno, o in una fabbrica le macchine acquistano per lo meno eguali diritti rispetto alla gente in termini spaziali. Le macchine sono disposte in una sequenza opportuna. Ciascuna ha le sue proprie dimensioni, le dimensioni impegnate dalle sue parti in funzione o dal movimento dei pezzi in lavorazione, e le dimensioni impegnate dai corpi in movimento degli operatori e di chi curi la manutenzione. Il vano deve offrire ampiamente tutti questi volumi e metterne a disposizione altri per far passare tubazioni, maniche, cavi o condutture dirette alle macchine o provenienti da esse in rapporto alle necessità.
 
La casa moderna si distingue in tre zone principali: 
  • la zona giorno, 
  • la zona notte 
  • la zona dei servizi (la cucina/pranzo,servizi igienici e lavanderia) 


a cui possiamo aggiungere la zona intellettuale, intesa come tale uno spazio da adibire allo studio e alla conoscenza.
Ogni ambiente serve a soddisfare specifici bisogni elementari.
 
L’ambiente cucinasoddisfa i bisogni elementari del preparare, cuocere, mangiare e pulire.
“Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano. Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire. Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. […] nei momenti in cui sono stanca mi succede spesso di fantasticare. Penso che quando verrà il momento di morire vorrei che fosse in cucina. Che io mi trovi da sola in un posto freddo, o al caldo insieme a qualcuno, mi piacerebbe poterlo affrontare senza paura. Magari fosse in cucina![1]»
In questo modo BananaYoshimoto inizia il suo racconto Kitchen. La cucina da sempre ha avuto un ruolo fondamentale nella casa.
 
L’uomo primitivo cuoceva il cibo su di un ceppo acceso ma non si può parlare ancora di un ambiente cucina.
Prima antenata della cucina era quella parte della casa in cui si trovava il focolare, che a sua volta era al tempo stesso fornello, sorgente di luce, fonte di calore.
La cucina era, pertanto, il centro della casa e del gruppo di persone che vi abitavano. Con processi di affumicazione venivano conservati i generi alimentari e il fuoco era utilizzato anche per attività artigianali.


[1] B. YoshimotoKitchen, Universale Economica Feltrinelli.

… continua prossimamente …
 
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